Giorgione con il suo sereno naturalismo tipico dei pittori veneti dell’epoca nel “Venere e Adone”, l’opera rappresenta invece il rovesciamento delle immagini serene e idilliache dello sfondo precedente operando la contrapposizione tragica e lancinante di un tragico notturno a tinte Caravaggesche sulle quali si innesta la luce di una torcia. La storia è esemplare della poetica shakespeariana, e racconta di come Tarquinio stupri Lucrezia istigato dalle sperticate lodi di Collatino e di seguito il suicidio della stessa eroina spinge il popolo romano a liberarsi del giogo della monarchia tirannica ( come narrato in precedenza da autori come Ovidio, Tito Livio e Chaucher). La voce della vittima rappresenta una delle più esemplari meditazioni sulle conseguenze di uno stupro visto da una donna, con una magnifica e rigogliosa serie di allegorie, lamentazioni e invettive contro il Tempo e la Notte e nella metafora architettata metastoricamente nella violazione della città d’Ilio. Il meccanismo poetico che dispiega l’originale e straordinaria capacità di intrecciare orrore, tragedia con la metonimica parodia in modo rutilante e incalzante. I due giovani attori scelti da Malosti per l’uopo; neodiplomati alla scuola Teatrale del Teatro Stabile, Alice Spisa (Lucrezia) e Jacopo Squizzato (Tarquinio) dimostrano il loro grande talento con un lavoro corporeo e verbale ditirambico, seguendo le cupe e controverse presenze sonore di scena e con l’intromissione di un ambivalente narratore in versione voyeristica che rappresenta nel contrasto luce-ombra di sottofondo il marito di Lucrezia, Collatino, interpretato dallo stesso Malosti. Attendiamo la coppia di attori protagonisti ad altre interpretazioni di grande livello secondo il talento ormai rilevato
Testo di Andrea Novarino